Se mi ami costringimi a cambiare: un titolo che è più di una semplice provocazione. Come comportarsi con i bambini con esigenze speciali? Percorrere la via dell’accettazione passiva? Mantenerli isolati dal mondo reale in una sfera protetta? Modificarne l’ambiente di vita per evitare loro scompensi e frustrazioni? Oppure tentare una vera integrazione? Percorrere la via dell’intervento modificante? Aiutare il bambino a sviluppare le competenze cognitive e sociali necessarie all’inserimento nel mondo reale? Reuven Feuerstein, psicologo clinico, cognitivo e dello sviluppo che ha iniziato la sua attività in Israele con i bambini sopravvissuti all’olocausto opta decisamente per questa seconda possibilità, convinto che tutti abbiano il diritto di costruirsi una vita soddisfacente dal punto di vista lavorativo, affettivo e sociale, ma fatta anche di doveri e responsabilità, nonché della possibilità di dare il proprio personale contributo alla società.
Perché l’uomo è modificabile: in questa convinzione gli autori ripongono una fiducia incrollabile, che trova oggigiorno appoggio nel concetto di plasticità neuronale. L’intelligenza non è più concettualizzata come un dato biologico immodificabile (Q.I.), ma si prende piuttosto in considerazione la propensione all’apprendimento, che diviene il punto di partenza per lavorare sull’individuo al fine di aumentare la sua capacità di apprendere attraverso la mediazione, concetto cardine del libro. Chi è dunque il mediatore? Accettato che l’individuo sia il prodotto di fattori biologici e socioculturali il mediatore è colui che si interpone tra i due. Nella quotidianità solitamente è un adulto, un genitore, un educatore, un insegnante, un fratello più grande che assume un ruolo educativo costruendo una relazione empatica con il bambino, elemento indispensabile quest’ultimo considerata l’interdipendenza spesso sottovalutata tra emozioni e attività cognitive. Nello specifico del metodo ideato da Feuerstein (programma di arricchimento strumentale) il mediatore è invece una figura distinta che si differenzia dall’insegnante e dall’educatore perché non veicola contenuti specifici ma in un’interazione improntata alla reciprocità aiuta il bambino a sviluppare e correggere le funzioni cognitive carenti. Ogni mediazione ha come obiettivo non soltanto l’attività immediata, ma trascende il qui ed ora cosicché le funzioni cognitive possano essere utilizzate nella varietà di situazioni che la vita pone dinnanzi all’individuo.
Tutto questo in vista di un obiettivo finale: fare sì che il soggetto diventi mediatore di sÈ stesso, che, in altre parole, impari a imparare.