Insegna il Buddha che ci sono due modi per mangiare un mandarino: puoi mangiare un mandarino o non mangiare un mandarino. Ovvero puoi mangiarlo con consapevolezza o senza consapevolezza. Mangiare un mandarino con consapevolezza significa portare alla bocca uno spicchio alla volta, gustarne la dolcezza e la fragranza; scoprire che ogni spicchio è splendido e prezioso.
Così per questi cinquantuno “spicchi”, cinquantuno brevi racconti da gustare uno alla volta, senza fretta: un polipo, due parti, un gelone, una pentola di broccoli sul fuoco, un concerto jazz, un panino, la cupola del Brunelleschi, un hotel di Londra, un cinghiale che sbatte contro la macchina ciò che conta non è l’accidente, è la capacità dell’autrice di scalfire la membrana dell’abitudine che ci impedisce di vedere veramente il quotidiano e di meravigliarci di fronte ad esso. Perché la bellezza dopo un po’ si dimentica, non si vede più» ovunque ma l’abitudine acceca lo sguardo. Poi capisci che la vedi ancora e un sorriso spunta lento sul tuo volto. Sì, l’autrice vede, vede ancora, ma non solo: ha la capacità di catturare le cose e di trasmettercele. Come Vincent Price nel film “L’uomo con gli occhi a raggi X”, citato due volte nel libro, riesce a leggere dentro la mente di chi incontra, col rischio, però, di impazzire finendo col vedere talmente in profondità da trovarsi attorniata di scheletri parlanti come tante radiografie in movimento. Ecco, c’è questo e molto di più in questi cinquantuno brevi racconti: c’è il gusto misurato di giocare col linguaggio, senza mai cadere nell’autocompiacimento; e, soprattutto, ci sono quella rapidità e quella leggerezza che Calvino in “Lezioni Americane” riconosce come qualità di un buono scrittore. A voi dunque gustare questi succosi spicchi. Uno alla volta, senza fretta.