L’Associazione C.R.E.T.E. di arteterapia, Centro Ricerche Europeo Terapia Espressiva, è stata fondata nel 1991 a Firenze da Anne Denner e da Liana Malavasi con la finalità di formare in Arteterapia secondo il Metodo Anne Denner. È una delle Scuole italiane di formazione accreditate dall’Apiart (Associazione Professionale Italiana Arte Terapeuti). Dal 2012 è Associazione di Promozione Sociale affiliata all’Arci.
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Svirgole – Quaderni di arteterapia n. 3
“Ma poi, senza che nessuno se lo prefiggesse o notasse il cambiamento, sbocciò il silenzio. Nessuno smise di parlare, ma non si parlò più. Nessuno represse una risata, ma non si rise più. Andarono avanti a lungo […] come fantasmi, o esploratori, o neonati. Nessuno sapeva se qualcuno teneva le braccia tese per proteggersi. Nessuno sapeva se qualcuno era a quattro zampe o allungava la gamba in cerca di ostacoli o faceva scorrere un dito lungo il muro tenendoselo sempre a destra.” (Eccomi, J. Safran Foer)
Presentazione
Quando, nel 2012, è stato chiesto a C.R.E.T.E. di condurre un’attività artistica per malati di Alzheimer, all’interno del Caffè Alzheimer di Libri Liberi, Lucilla Carucci si è trovata di fronte ad alcune difficoltà: il Caffè, per scelta fondativa, si realizza in uno spazio aperto e polifunzionale, la frequenza degli incontri è diluita nel tempo, inoltre, non esiste un luogo specifico per poter conservare materiali artistici e opere. Luca Carli Ballola approfondisce quelle che sono le caratteristiche di un Caffè Alzheimer, raccontando la storia di come quello di Libri Liberi è nato.
La prima riflessione che si pone all’arteterapeuta quando gli venga richiesto un intervento di arteterapia è se esistono le condizioni perché questo si possa
attuare.
Si tratta di valutare quegli aspetti che sono: la presenza di un atelier dedicato con la varietà dei materiali dell’arte plastico-pittorica e una frequenza degli incontri che garantisca una continuità nel tempo del percorso. È anche fondamentale che l’arteterapeuta, sulla base dell’utenza cui si rivolge, si dia degli obiettivi operativi realistici a partire dai quali costruirà, in un secondo tempo e sulla base delle osservazioni sul campo, programmi specifici per ogni persona.
L’opera The Theatre of Memory di Bill Viola offre un’immagine efficace quanto drammatica della demenza di Alzheimer, malattia che comporta un progressivo ed irreversibile spegnersi delle lucine dei ricordi, delle parole… e dei legami tra tutti questi elementi… fino all’epilogo più tragico.
Per queste persone, non esiste una possibilità evolutiva.
I percorsi narrati dalle arteterapeute Lucilla Carucci, Ambra Nardini e Chiara Passalacqua e qui raccolti, mostrano come, attraverso la relazione con l’arteterapeuta per il tramite del materiale artistico, in questo caso la creta, sia possibile conservare uno sguardo arteterapeutico anche al di fuori di un’esperienza di arteterapia vera e propria, prendersi cura della dignità e umanità della persona tenendo un filo tra i frammenti di un’identità che si sta perdendo.
È un territorio sconosciuto fatto di lacune, passaggi vuoti, fili spezzati, mancanze e sfilacciamenti, il compito dell’arteterapeuta è quello di ripristinare l’immagine rappresentata dal paziente nel contesto di una sua narrazione per restituirgli per quanto possibile legami o vincoli della sua storia.
Ambra rimanda un’immagine molto efficace della funzione dell’arteterapeuta quando descrive il suo modo di essere accanto a Piera nel processo del “farsi dell’opera”. Le opere di Piera prendono ogni volta avvio secondo un metodo preciso: lei crea piccoli pezzi che, solo in un secondo momento, tenta di ricomporre in un oggetto unico. Ambra interviene nell’aiutarla a consolidare le giunture di questi frammenti che faticano a stare insieme.
Quando Lucilla valorizza le parole di Marcella: “… a primavera ripianteremo fiori…” rimanda ad un progetto-di-mondo di Marcella, ad uno slancio nella vita (Bergson).
Come arteterapeuti, è molto importante avere dentro di sé una visione “spaziosa” della persona e restituirgliela. Questa immagine non può ridursi all’essere una persona malata, ma scorgere quei residui di soggettività e vitalità tra i pezzetti dando a questi un senso possibile, il più vicino possibile a ciò che la persona dice di sé attraverso il suo corpo, i suoi lavori, le sue parole…
In una condizione di “quasi assenza” di identità, l’arteterapeuta si confronta ancor di più con il proprio stare sulla soglia: laddove una malattia come la demenza potrebbe
indurre i caregiver ad atteggiamenti infantilizzanti, Chiara si chiede, rispetto ad
un proprio intervento nei confronti di G: sono stata troppo invadente?
Stare in quella difficile posizione di presenza rispettosa dell’altra persona: che scelga di creare una forma, che non faccia nulla, che dica delle parole o manipoli soltanto il materiale…
Chiara, ad esempio, dal momento che il linguaggio del signor G è molto ridotto, lo segue nei suoi movimenti supportandolo quando qualcosa emerge da lui.
Infine, la magia della creta. Il limite di utilizzare un unico materiale si è rivelato, in questo contesto, un’opportunità: la creta possiede la capacità unica di suscitare e tenere viva la memoria arcaica delle mani, risvegliata dal contatto con la morbidezza e con la potenzialità costruttiva della materia.
E ciò è evidente dagli stili personali riconoscibilissimi e dai temi ricorrenti che emergono dai lavori dei singoli partecipanti: ricordi di vita vissuta, movimenti noti che hanno necessità di fissarsi il più a lungo possibile.
La memoria corporea si conserva, quando l’altra memoria si sta perdendo. Questa memoria più primitiva è in grado, in piccoli momenti, di riaccendere anche quella verbale.
Ci sembra bello concludere questo numero inserendo lo sguardo di un’artista, Annamaria Corazzari, perché è fondamentale, per l’arteterapeuta, nutrirsi del linguaggio dell’arte e tenere viva la propria creatività nel lavoro con persone sofferenti.
Il lavoro che l’artista compie, infatti, dà forma al caos e vitalizza aree umane di profonda inanità.
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