La bambola di pietra. Il racconto della bimba di Pian d’Albero

L’eccidio che i tedeschi portarono metodicamente a termine il 20 giugno del 1944 al casolare della famiglia Cavicchi, falciando a colpi di mitragliatrici e impiccando diciotto persone, quasi tutti civili, in gran parte ragazzi renitenti alla leva che furono colti dalla morte prima ancora di raggiungere i compagni della Sinigaglia accampati nei boschi circostanti. E poi l’annientamento della famiglia Cavicchi, i mezzadri che da anni abitavano quel casolare e lavoravano quella terra.
Una strage senza senso, orrenda come le tante perpetrate nel nostro paese durante l’occupazione e soprattutto nei mesi in cui si definiva l’imminente disfatta della sanguinosa collaborazione nazifascista. In Toscana era toccato a Vallucciole, poi ci sarebbe stata Sant’Anna di Stazzema, centinaia di episodi di sanguinosa atrocità.
Quale allora la particolarità di questa storia di Pian d’Albero? Quella di essere ripercorsa dalla memoria di una bambina di undici anni che della guerra e delle sue ragioni sapeva ben poco, ma che la sofferenza la conosceva già, quella vissuta tutti insieme uniti nell’affrontare la povertà, le scelte difficili, ma non sentendosi particolare in un mondo che intorno a lei era abituato a fare così.
Una saggezza antica, una naturalezza bambina di fronte a una strage.